giovedì 4 settembre 2014

Grande Guerra Trek – Un fiore per Massimino – Monte Zebio

L’idea di realizzare il Grande Guerra Trek o Grande Guerra Mtb, è nata quasi per caso più o meno un anno fa mentre si avvicinava il centenario dell’inizio della Grande Guerra.
La Grande Guerra, ai più, appare solo come una serie di episodi eroici di manipoli di alpini che abbarbicati su alte rocce combatterono valorosamente contro un nemico cattivissimo ed invasore.
A rafforzare questa idea, nelle nostre teste suonano solenni e commoventi tante belle canzoni di Bepi de Marzi.
Pochi sanno (perché a scuola in pochi e malvolentieri lo insegnano) che la Grande Guerra fu in realtà una guerra più disutile di tante altre, e che fu un massacro incredibile di tanti giovani operai e contadini da ambo le parti. Contadini e operai che non conoscevano gli interessi dei potenti che li costrinsero alla battaglia. La guerra fu vinta da chi riuscì a non finire i soldati….o meglio, la guerra fu persa da chi finì prima i soldati.
Generazioni intere falcidiate nelle trincee e sui monti…
Contadini strappati alle famiglie e ai loro campi e mandati a combattere un nemico che non gli aveva fatto nulla, un nemico che non conoscevano, un nemico che non volevano conoscere…un nemico che non voleva considerarli nemici e che stava bene a casa sua….perchè contadino anch’esso.
Tanto di cappello e di onori ai martiri irredentisti trentini e triestini, tanto di cappello e di onori a tutti quei ragazzi che animati ancora dallo spirito risorgimentale si offrirono volontari e andarono a morire davanti alla mitraglia sotto le bombe o le mine per l’unità d’ Italia.  

Massimino era un contadino…
Massimino era alto 1 metro e 50, occhi celesti, denti sani, sapeva leggere e scrivere…
Massimino era un ragazzo del ‘99, chiamato alle armi che non aveva ancora compiuto 18 anni, e morto sul Piave nella Battaglia del Solstizio nel giugno del ’18, aveva 19 anni.
Morì all’ospedale di Mestre dopo una decina di giorni di agonia per ferite gravi all’addome e nel resto del corpo (probabilmente schegge di granata).
Facciamo un paio di passi indietro nel tempo…un anno e mezzo fa…circa…
Mia moglie andava spesso a camminare dalle parti del castello di Tabiano con una sua amica.
La sua amica che aveva avuto delle serie problematiche di salute si stancava abbastanza presto e ogni tanto era costretta a riposare. Un giorno, per scherzo, Flora invitò l’amica a riposare sedendo su un pilastrino davanti al monumento ai caduti della Grande Guerra….”così vi fate compagnia”…
Così, leggendo i nomi dei caduti, mise l’occhio sul nome di Massimino.
“Ma Massimino era il nome di mio zio e il cognome è lo stesso….ma mio zio era un partigiano e non è morto nella Grande Guerra….”  Disse Flora all’amica….
La sera Flora interpellò il padre il quale si ricordava che una sua zia aveva una foto di un ragazzo sulla credenza in salotto…come si usava spesso in campagna….ma niente di più.
Flora andò a rompere le scatole all’archivista in comune, e trovarono che effettivamente il Massimino in questione era un parente stretto della nonna paterna e che era morto all’ospedale di Mestre.
Partì allora, una ricerca spasmodica di informazioni.
Si telefonò a Mestre e al ministero della difesa, e si scoprì che esiste un dipartimento ed un sito apposito per le onoranze ai caduti di tutte le guerre.
Date tutte le info necessarie si aspettarono notizie.
Si pensava ci volesse un sacco di tempo….invece….nel giro di pochissimo arrivarono tutte le info necessarie complete di solenne ringraziamento al caduto da parte di un Generale.
Davvero commovente.
E’ stato un momento di grande emozione, anche per me.
Massimino, contadino di Tabiano, ferito sul Piave nella Battaglia del Solstizio, e morto per gravi ferite all’ospedale di Mestre è sepolto nel sacrario militare di Asiago….insieme ad altri 50.000 e oltre commilitoni.
Nessuno sapeva che era sepolto la, nessuno, in 95 anni, era mai stato ad Asiago a portare un fiore.
Si organizzò subito il viaggio….
Con un viaggio solo avremmo messo insieme tante cose:
il fiore per Massimino
una preghiera per Mario Rigoni Stern (che è sepolto ad Asiago…cantore della ritirata di Russia)
l’inizio del Grande Guerra Trek (visita alle Trincee austriache del M.te Zebio)
Compleanno di Flora
Mercatini di Natale
WE in Hotel di lusso, con sauna, ppiscina e idromassaggio, a prezzi convenienti.
In compagnia di Anna Flavio e Vicky Flora ed io siamo partiti alla volta di Asiago.
Asiago e tutto l’altopiano vivono in un posto bellissimo: l’altopiano di Asiago…
Pensare che li si sono ammazzati a migliaia, a decine di migliaia fa veramente effetto, e fa ancora più effetto  pensare che gli abitanti sfollarono sotto le cannonate austriache e che tutta la zona era distrutta (vedere le foto dell’epoca) .... veramente da brividi.
Dopo un panino veramente buono al locale mercatino di Natale ci dirigiamo verso il sacrario…che ovviamente troviamo in un attimo. Però il sacrario apre le porte un po’ più tardi….
Nell’attesa andiamo a trovare Mario.
Mario Rigoni Stern è sepolto qui, nel cimitero del suo paese, nel suo altopiano, Qui riposa il “sergente” .
In tema di guerre terribili, come non pensare ai 100.000 alpini durante la terribile ritirata di Russia, la sacca sul Don, Nikolajewka….
Non siamo fuori tema….la guerra è terribile sempre, e anche allora tanti contadini, montanari, furono mandati contro un inutile massacro in nome di cosa?
Se nella Grande Guerra ci poteva essere l’ideale riunione di Trento e Trieste all’Italia…li cosa c’era…morte, sofferenza, disperazione…niente altro.
Davanti a quel sepolcro in terra un attimo di commozione ed una preghiera.
Poi ci avviamo al Sacrario.
Compriamo in una bottega un vasetto di erica da portare a Massimino.

Entriamo scaglionati, non possiamo portare il nostro cagnino dentro all’area sacra.
C’è pochissima gente, il momento è davvero emozionante….
Ci accoglie un piccolo museo a cui diamo una occhiata frettolosa, ci sconvolgono le lettere dei soldati….piene di amore, dolore, coscienza del destino che li attende.
Poi cominciamo a cercare Massimino….
Di cognome  Porta.
Il sacrario è diviso in ali che partono da un punto centrale dove c’è l’altare.
Cerchiamo di capire da che parte iniziare…
Siamo intimoriti e sbigottiti. Tante piccole lapidi tutte uguali con su dei nomi in ordine alfabetico.
Dal ministero ci hanno dato le coordinate….per dire quanti sono….
Seguendo le indicazioni ben presto troviamo l’ala dedicata alla P….
Non finivamo più di leggere…di vedere…ma quanti ragazzi ci sono….
La pelle d’oca nasce spontanea e non dal freddo.
Arriviamo alla PO….facciamo passare ancora tantissimi nomi….POR…ancora tanti e tanti ragazzi…di qualcuno leggiamo date di nascita e morte…
Giovani, tutti terribilmente giovani, tutti terribilmente uomini…tutti morti…
Finalmente eccolo li Massimino….
Li nel mezzo….
Una emozione grandissima. Siamo i primi dopo 95 a venirlo a trovare….
Ciao Massimino, e recitiamo una sommessa ma sentita preghiera.
Flora gli canta una Ave Maria….
Non c’è posto per il fiore….ma glielo facciam vedere….
Il momento è davvero importante, l’emozione alle stelle, qualche lacrima scende spontanea…per lui ma anche per tutti gli altri ragazzi li con lui…
Usciamo….
Depositiamo il fiore all’altare, ce ne sono altri….
Nell’uscire notiamo le tombe comuni, che portano i resti di migliaia e migliaia di ragazzi, Italiani, Austriaci….sempre ragazzi sono…stati…
Usciamo a respirare nell’aria tersa di questa giornata invernale fredda e limpida….
Prendiamo la Vicky e facciamo entrare Flavio e  Anna.
Anche loro si trattengono poco ed escono visibilmente commossi….
Fortunatamente l’albergo dove siamo alloggiati offre momenti distensivi….e ci distendiamo, grazie a Dio…
…ma anche i soldati di allora avevano periodi di calma di fuoco e tentavano di vivere una “vita normale” bastava solamente evitare di esporsi al “cecchino”…
Il nostro albergo è situato in quel di Gallio….
Gallio, ora che ci penso è il comune dell’altipiano dove si sono svolti i fatti d'arme, di vita e di morte raccontati da Emilio Lussu nel libro “ un anno sull’altipiano”.
A leggerlo mi viene ancora la pelle d’oca…e una gran rabbia…
Mi ha stupito la calma rassegnazione e tranquillità con cui quei ragazzi affrontavano le assurdità della guerra di trincea, gli assurdi comandi di ufficiali incapaci e boriosi….
Mi raccontava un collega di lavoro che il suo nonno…o forse bisnonno…(non ha importanza), quando era in trincea doveva fumare il sigaro a rovescio (con le bracia in bocca) per non farsi beccare dal cecchino, e poco prima di andare all’assalto, passavano con il cordiale….diceva che dopo si sentivano dei leoni e non avevano più paura di nulla….e via davanti alla mitraglia…
Chissà cosa c’era in quel cordiale!!!
Raccogliamo qualche info sulle zone di guerra raggiungibili velocemente…non abbiamo molto tempo…
Impariamo che proprio sopra Gallio c’è il monte Zebio, teatro di feroci combattimenti, e proprio sotto questa montagna c’erano le batterie d’artiglieria di Carlo Emilio Gadda…il grande scrittore, ingegnere del 900 italiano.
Andiamo quindi a buttare un occhio sul monte Zebio.
Percorriamo un bel pezzo di strada con la macchina. Poi le condizioni del fondo consigliano il parcheggio del mezzo e la prosecuzione della visita a piedi. Faticando a stare in piedi sul ghiaccio che ricopre la carraia avanziamo chiacchierando.
Non sono chiacchiere liete, una strana malinconia circonda il luogo che nonostante la mattinata luminosa rimane un po’ così…con quell’aria di grande stanchezza che hanno i vecchi quando pensano agli anni passati.
Una targa marmorea testimonia che stiamo entrando nel vivo della zona di guerra.
Un bel tratto in piano, ricco di neve ci offre  riflessi di luce straordinari.
La brina della notte ha depositato sulla neve dura uno strato di grossi cristalli di ghiaccio che ora brillano di vari arcobaleni sotto la luce radente del sole del mattino.
Uscendo dal bosco ci appare una costruzione...un rifugio..

e attorno ad essa si vedono bene i resti delle trincee austriache mai conquistate dai nostri. Iniziamo ad aggirarci fra i ruderi con circospezione, cominciando dalle cose più evidenti.
Salgo su un cocuzzolo e mi guardo attorno…è tutto pieno di trincee, più o meno evidenti, più o meno ripristinate. Le percorriamo un po’ a caso cercando di rubare con occhi e macchina fotografica le cose più evidenti, targhe, gallerie, postazioni di mitraglia.
Una strada conduce più in la…la in fondo si vede una croce.
Un’asta da bandiera…vorremmo arrivare fin la, ma il tempo stringe davvero,  il sole ripiega rapidamente i suoi raggi e tende ad andare mestamente al riposo. Con l’intento di ritornare con più calma e più tempo abbandoniamo i luoghi dove fu sterminata la Brigata Sassari (dove militava Emilio Lussu) e rientriamo alla macchina e ad Asiago.
Facciamo un ultimo giro al mercatino di Natale…un pensiero a Massimino, là, in compagnia di altri 50.000 ragazzi come lui….

Torneremo a trovarti giovanotto….stanne certo….

Grande Guerra Trek – monte Sief, Col di Lana

Quest’anno ricorre il centenario dello scoppio della Grande Guerra. In effetti l’Italia entrò in guerra nell’anno successivo (1915), ma il massacro di tanti giovani uomini era già iniziato.
Flora ed io vorremmo (a nostro modo) rendere onore, a tutti i caduti, e a tutti quelli che combatterono sul fronte italo austriaco, andando a visitare i luoghi delle battaglie, percorrendo i sentieri e le strade a piedi o con le nostre mtb.
Non siamo i soli, tanta altra gente sta già facendo lo stesso, e in questo modo vorremmo che non andasse persa memoria di tanti giovani che sacrificarono gioventù e vita in nome di una patria…che forse oggi li sta tradendo nel peggiore dei modi…
Da molti anni sono appassionato e leggo degli avvenimenti e delle battaglie della Grande Guerra. In particolare mi sono appassionato alla Guerra Bianca. La Guerra Bianca comprende tutti quegli scenari di guerra che hanno come centro le grandi montagne, dalle dolomiti all’Adamello, all’Ortles/Cevedale, ecc ecc…
Flora ha avuto un componente della famiglia morto sul Piave durante la Battaglia del Solstizio nel 1918, all’età di circa 19 anni. Massimino. E’ stato sepolto nel sacrario di Asiago e fino all’inverno scorso nessuno era mai andato a deporre un fiore sulla sua tomba. Ma questa è un’altra storia….
Siamo in ferie in Val Badia, ai piedi del massiccio del Lagazuoi Piccolo. Appena sopra di noi si svolsero grandi battaglie e morirono migliaia di ragazzi. Lagazuoi e Cengia Martini, Sasso di Stria, Tofana, Col di Lana (Col di sangue) ci ricordano ancora oggi il sacrificio di tanti giovani. Siamo già stati tante volte in questi luoghi con intento escursionistico ed alpinistico, ma questa volta vorremmo ripercorrere gli stessi sentieri con altro sentimento e con altri occhi ci guardiamo attorno. Non è più la voglia di una vetta ma è il desiderio di ascoltare lo spirito di quei soldati che furono in quei luoghi. E’ difficile essere veramente rispettosi, ma ci vogliamo provare.
E così Flora ed io partiamo dal campeggio alla volta del gruppo Sief-Col di Lana.
Saliamo di buona lena la strada che porta sui Pralongià fino al crinale. Lassù ci si para innanzi la vista della Marmolada vestita di candida neve come da molti anni non vedevo.
Anche lassù combatterono e morirono semplici contadini, montanari e fior di alpinisti. Percorriamo il roccioso sentiero sottostante il gruppo dei Setsass.
Anche sui Setsass furono sistemati dei trinceramenti austriaci. Da lassù dominavano tutto il fronte dei combattimenti del Col di Lana. Dalla forcella sotto i Setsass iniziano a vedersi gli scavi delle trincee austriache. Parliamo di austriaci, ma in realtà erano le milizie territoriali Ladine rinforzate in un secondo momento da Kaiserjager e altre truppe dell’impero asburgico. Sui verdi prati dove ora pascolano placide e belle le mucche
allora si combatteva e si moriva di pallottola, di bomba e di valanga, più tardi anche le gigantesche mine contribuirono al massacro. Qua e la crateri di bomba fanno da letto a qualche mucca che riposa. Ma per essere visibili ancor oggi….quanto dovevano essere ampie allora? Con che pezzi sparavano le artiglierie italiane? Quando ero in artiglieria alpina, si sparava con obici da 155/23 e gli ufficiali ci dicevano che le granate aprivano crateri del diametro di una 30ina di metri….allora…che cannoni e che bombe tiravano? Non so ma doveva essere una cosa terribile vivere in queste trincee in questi baraccamenti in sasso, legno e terra sotto il tiro continuo delle artiglierie nemiche. Che rumore infernale e incessante doveva essere? Vedere cadere i propri compagni giorno dopo giorno, minuto dopo minuto… una situazione insostenibile! Eppure quei ragazzi, per quanto possibile, cercavano di sopravvivere. Iniziamo a salire l’erta che porta alla cima del monte Sief. Per un piccolo tratto siamo allo scoperto, poi entriamo nelle trincee ricostruite sui ruderi passati.
I passaggi sono stretti e non troppo alti. Come erano i ragazzi di allora? Io non sono certo un omone e ci passo appena, col mio zainetto. Allora come si muovevano qui in prima linea? Qua e la feritoie per l’osservazione e punti di sparo per le mitraglie. Ora sui sassi delle trincee spuntano fiori dai colori sgargianti ed allegri ed è bello scattare foto. Il colore dei fiori contrasta col cupo colore della trincea.
Anche il sole si copre e ingrigisce il già grigio ambiente di combattimento. Saliamo per la ripida postazione e presto siamo in vetta. Una croce, un cippo, due cippi, ricordano chi morì e chi resistette.
Il monte Sief fu tenuto caparbiamente dagli austriaci resistendo agli altrettanti caparbi e sanguinosi attacchi italiani. Dopo la conquista del Col di Lana gli italiani tentarono di arrivare anche sul Sief (sarebbe stata una disfatta per gli austriaci), erano a pochi metri….un ufficiale arrivò con pochi uomini in vetta al Sief ma fu sopraffatto dal contrattacco nemico. Per impedire la conquista di quest’ultimo baluardo fu fatta saltare una gran parte di montagna.
E si vede chiaramente. Una bella montagna squarciata in modo scientifico. A guardarla intensamente pare di sentire il boato della grande mina, sassi lanciati un po’ ovunque e il gran fumo salire in cielo, visibile a chilometri e chilometri. Ora i resti della cresta li percorriamo, prima in discesa e poi in salita con l’ausilio di comodi ed efficaci cavi d’acciaio. Abbiamo modo di osservare ancor meglio l’entità della mina austriaca. Camminiamo svelti e silenziosi quasi per non disturbare.
Ci soffermiamo a guardare altre postazioni scavate nella roccia da quei soldati/operai che combattevano su questi pendii. Anche senza l’ausilio di carte si riesce a vedere chiaramente la disposizione dei combattenti. Ora la tenera erba e la morbida terra coprono montagna e resti umani…Ma allora doveva essere tutto arido e bruciato, ricco di scavi profondi, dove cavalli di frisia e reticolati ricoprivano gran parte della montagna. Resti umani smembrati dalle esplosioni e dispersi qua e la fra i sassi continuamente fatti “muovere” dal continuo lavoro delle artiglierie che tentavano di aprire varchi fra i reticolati nemici. Da quassù si sparava ai combattenti che tentavano, balzando in salita, riparandosi dietro ai massi, di arrivare alle postazioni avversarie. Sono stordito. Le immagini che si susseguono nella mia testa sono terribili,mi sembra quasi di sentire i rumori, le grida, l’odore della cordite e delle esplosioni, del sangue…fatico a fare fotografie. Ma la montagna è magica, la natura è forte. 
La natura si riappropria della terra e la ricopre di bontà e bellezza…e anche questi luoghi di orrore vengono addolciti dal passare del tempo e dall’opera di Dio.
Saliamo ora la lunga scalinata che porta alla cima del Col di Lana.
Poca strada ma faticosa, ansiamo non poco quando sbuchiamo sotto la croce di vetta. Non arriviamo lassù in una sorta di rispetto, non abbiamo conquistato nulla. Ci fermiamo per una foto alla croce pochi metri sotto. Così, una croce rivolta verso il cielo che si staglia fra le nuvole grigie nel cielo che per un attimo si oscura.
Poi arriviamo alla piccola cappella per una doverosa preghiera.
Abbiamo fame ma per mangiare ci defiliamo un po’ e scendiamo al piccolo ma bel bivacco costruito dagli alpini. Sui gradini del rifugio, al riparo dall’aria consumiamo un pasto molto frugale. Pane e formaggio, un goccio d’acqua. Abbiamo anche un po’ di frutta e un po’ di cioccolata. Forse la cioccolata l’avevano…ma la frutta era solo un sogno…
Mi concedo un tiro di sigaro toscano. In silenzio lo sguardo ammira la valle sotto di noi, le montagne intorno. Il Pelmo, il Civetta, Il Cristallo, le Tofane….chissà se anche allora i soldati riuscivano ad avere un momento tranquillo per una fumata e uno sguardo a quei monti incantati. Magari pensavano a casa, magari scrivevano qualche lettera…chi sapeva….chi sapeva scriveva anche per chi non sapeva leggere e scrivere….

Preleviamo un opuscolo dentro il bivacco e lasciamo una piccola offerta. Mi piacerebbe passare una notte qui….A Flora no, è convinta di “sentire” ancora i rumori della guerra e le grida dei soldati…
Per scendere non ritorniamo sui nostri passi. Scegliamo di rientrare percorrendo il ripido sentiero che porta al Castello di Andraz. E’ lontano ma potremmo anche farcela. Scendiamo con circospezione ed attenzione, il sentiero è scivoloso, ma…ma i soldati italiani attaccavano salendo da questo versante? Da questo o da quello a sud fa poca differenza…la pendenza è tanta…. Per gli austriaci era come tirare al piccione!!!
La discesa è ripida e scivolosa, dobbiamo stare attenti. La montagna è fiorita come non l’avevo mai vista in questo periodo. I fiori giustamente coprono questi pendii un tempo insanguinati, quasi a rendere più dolce il trapasso dei soldati di allora. Che la memoria, che quei fiori stemperino, in questo centenario, tutto quel dolore tutto quell’orrore.

Scendendo supponiamo di poter incrociare qualche sentiero che ci riporti verso il passo di Valparola. Flora vorrebbe rischiare la via per il castello di Andraz. Faccio un rapido calcolo dei tempi e insisto per una “via di fuga onorevole”.
E poco dopo la “via di fuga onorevole” ci viene incontro. Quando il pendio si spiana un cartello ad un bivio ci indica il sentiero Teriol Ladin che ci riporta alla sella dei Setsass. Praticamente facciamo il giro del Col di Lana. Ora stiamo percorrendo il lato Italiano del Col di Lana. Non riesco proprio a capire come facessero i nostri ragazzi ad attaccare il nemico da una posizione così svantaggiosa. Le postazioni erano sotto l’osservazione ed il tiro del Sief e dei Setsass. Poco dopo troviamo piccole costruzioni che probabilmente facevano da riparo ai nostri giovani soldati.
Anche qui qualche cippo alla memoria. In questi luoghi gli alpini praticamente non combatterono. I soldati provenivano quasi esclusivamente da truppe di fanteria, probabilmente molti erano meridionali e non avevano mai visto montagne così alte e probabilmente nemmeno tanta neve…e forse non la rividero mai più.
Continuiamo il giro del Col di Lana seguendo l’esile traccia del Teriol Ladin. Il fischio di una marmotta serve per farci abbandonare per un solo momento i pensieri legati alla guerra. Ci immobilizziamo per cercare di individuare la marmotta sentinella. Il fischio era tipico dell’allarme di nemico terrestre. Diverso è l’allarme per l’arrivo dell’aquila. Siamo sopra vento e la marmotta ci sente e ci osserva. La vediamo, immobile su un sasso, ritta e guardinga. Restiamo fermi ed in silenzio. Noi la guardiamo, lei ci guarda. Fermi. Come accenno a muovermi per estrarre la macchina fotografica, lesta, la marmotta scende dal sasso e si infila dentro uno dei mille buchi che ha scavato. Restiamo fermi ancora un po’. Le marmotte sono curiose, può essere che esca ancora. Ma la direzione del vento non ci aiuta. Il nostro odore ci tradisce (ma puzziamo così tanto?).

Abbiamo lasciato le postazioni italiane da poche centinaia di metri e subito calpestiamo evidenti tracce di trincee austriache. I contendenti erano proprio facci a faccia. Si sarebbero anche potuti parlare. Fra di loro, probabilmente varie serie di reticolati, ora rotti da bombardamenti ora rifatti con sacrificio dai fanti. In una di queste trincee Flora rinviene alcune schegge di granata. Sono veramente spesse.  Vista la posizione, probabilmente sono schegge provenienti da batterie italiane. Cerchiamo altri reperti. Altre schegge, scatolette, pezzi di filo spinato, c’è di tutto. La paura è quella di trovare pezzi di osso umano.
Continuiamo la nostra camminata.
Risalendo verso la sella vediamo bene le varie linee delle trincee. Non sono linee continue ma spezzate zigzaganti sul fianco della montagna.

Ci sarebbe da star li nel mezzo giorni e giorni per studiare bene posizioni e linee, ma il tempo stringe, e dobbiamo rientrare. L’autobus al passo di Valparola passa alle 17:15….e non abbiamo più tempo. Potremmo rientrare a piedi al campeggio…ma sarebbe una fatica di ben poca soddisfazione. Se perdessimo l’autobus…pazienza…ma se possiamo prenderlo…. Acceleriamo l’andatura e percorriamo velocemente il continuo saliscendi che ci separa dal passo. Riusciamo a sporcare per bene le nostre scarpe…niente di più.
Arriviamo in tempo utile, ed intanto che aspettiamo quei due o tre minuti osserviamo dei figuranti in divisa militare al bar. Sono ragazzi che posano in divisa austriaca e italiana al Forte Intra i Sasc.
Al forte c’è un bel museo che vale la pena di essere visitato.
Soldati Austriaci ed Italiani  insieme al bar….sarebbe stato bello che fosse stato così anche allora…
In qualche occasione qua e la ci sono stati episodi di amicizia e rispetto tra le parti….soldati che di nascosti si scambiavano sigarette, cioccolato…a rischio della fucilazione…



Grande Guerra Trek – Sentiero dei Kaiserjager, gallerie del Lagazuoi, cengia Martini

Quante volte ho già percorso questo itinerario?
Devo mettermi a contare seriamente per dare il numero esatto. La prima volta che percorsi il sentiero dei Kaiserjager…non esisteva ancora (almeno ufficialmente) e quando arrivammo su…aiutammo a piantare il paletto col cartello indicatore.
Non ricordo l’anno, ma ricordo che ero con Efisio, Elena, Pino e Rita.
Da allora praticamente tutti gli anni, per un motivo o per l’altro, torno per percorrere questo stupendo percorso. Lunghezza e dislivello non sono impegnativi, il percorso richiede solo passo fermo e poca paura dell’esposizione. Ogni anno trovo sempre più gente che percorre questa via, e mi piace che vadano a curiosare fra le trincee ricostruite e dentro le gallerie liberate dai detriti.

Chissà se tutte queste persone si rendono conto del significato e della funzione di questi passaggi fiancheggiati da muretti in sasso, di questi buchi nella montagna dentro cui intrufolarsi.
Penso che per noi, gente che vive nel 21° secolo, sia difficile capire tutto questo.
Nell’epoca della televisione e della telematica, dove satelliti ci guardano dall’altro, dove in un attimo possiamo collegarci a tutto il  mondo, penso che sia davvero difficile riuscire a comprendere la difficoltà di sopravvivere in quelle condizioni, fra una cannonata e una mina, fra un tiro di mitraglia, e un colpo di un cecchino, accampati in grotte umide gocciolanti acqua tutto l’anno, sepolti da metri e metri di neve con temperature siderali. Noi che diventiamo matti quando il meteo ci predice un -5°C in gennaio ….noi che stramalediciamo l’ambulanza o la guardia medica se arriva qualche minuto in ritardo…qui che i feriti li avvolgevano in sacchi e li calavano a braccia dalla cima della montagna…quando si poteva (col brutto tempo, di notte ecc..)
Questa volta percorriamo il tracciato con gli amici Silvia e Marco…non sono mai stati a camminare da queste parti…e l’occasione ci è parsa ghiotta per rifare per l’ennesima volta questo bel giro.
Per coerenza storica iniziamo l’escursione dal passo di Valparola nei pressi del forte Intra i Sass.
Il forte era una costruzione austriaca appena dietro le prime linee che facevano capo al Trincerone VonBank.
Dobbiamo percorrere il sentiero dei Kaiserjager….e partiamo dalle linee austriache…
Inizialmente si sale lentamente e si passa accanto a grandi massi rocciosi che allora vennero utilizzati come appoggio per la costruzione di ripari e baraccamenti. Lo spessore della roccia costituiva un riparo davvero solido.
Alcune associazioni di alpini in congedo stanno man mano ripulendo e ripristinando le trincee e il percorrere questi camminamenti mette un po’ di pelle d’oca.
Il sentiero inizia ad inerpicarsi in modo deciso. Ci alziamo di quota e lo sguardo ora spazia più in largo.
Al nostro fianco, di la dalla strada si erge il Sasso di Stria.
Flora racconta agli amici la storia del tenete Fusetti, del ten Braschi e della loro sfortunata sortita alla conquista di quella vetta. Più in la Piz Gallina, Averau, Nuvolau, sono bellissimi nel loro stagliarsi contro il cielo. Più in la le scure, enormi sagome del Pelmo, dell’Antelao, del  Cristallo….Panorama stupendo!
Ma se penso di essere un kaiserjager che sta andando in postazione per contrastare quei “rompiscatole” di italiani che risiedono stabilmente sulla Cengia Martini…comincio a preoccuparmi un po’ del fatto che di qui si vedano così bene Averau, Nuvolau, e Piz Gallina…
Eh si…la ci sono gli italiani con le loro artiglierie e mitraglie….le fotoelettriche  illuminano a giorno le postazioni e non le illuminano per niente….un po’ spiano i movimenti nostri…ma soprattutto fanno i calcoli per cannoneggiare le nostre postazioni….Grandi boati segnano la cannonata in partenza…ci si butta a terra nella trincea o ci si ripara in grotta e si attende il fischio della granata, e lo scoppio…. E così tutto il giorno e tutta la notte….
E d’inverno la neve…quanta neve!! Oltre all’italiano che spara c’è anche la neve…c’è un freddo becco! I turni di guarrdia sono terribili, le armi rischiano di incepparsi per la temperatura, i nostri indumenti….sono quel che sono….E’ vero che siamo forti ed abituati e temprati, ma il freddo è freddo…e basta..
E poi con tanta neve scendono valanghe…su questo sentiero siamo esposti alle valanghe. Ogni tanto parte una slavina e si porta via qualcosa, o qualcuno…più d’uno, più di qualcosa.
Allora via di badile, per  cercare di salvare qualche compagno o recuperare una postazione importante….
Saliamo rapidamente sul sentiero chiacchierando del più e del meno, e in breve arriviamo al tratto attrezzato prima e dopo il ponte sospeso. Il tratto attrezzato è molto semplice e non abbiamo portato con noi materiale da arrampicata o da ferrata, solo Flora ha portato il caschetto…

Davanti a noi fanno da tappo quattro o cinque individui  con abbigliamento militare. O almeno così sembra. Sono equipaggiati di casco, imbrago set da ferrata, ma sono orrendamente impacciati.
Se questi sono soldati nostri….siamo fritti…

Guardandoli bene, sulle divise fa bella mostra la scritta “volontario”…
Guardandoli bene…le divise sono fra loro diseguali….qualcuno ha l’orecchino…hanno zaini inadeguati per la montagna e ai piedi portano gli anfibi…c’è decisamente qualcosa che non quadra…
Li intervistiamo e ci spiegano che fanno da appoggio volontario a carabinieri, polizia, protezione civile, soccorso alpino, vigili del fuoco….
Mah! Sarà anche vero…ma dalla goffaggine…
Alla prima occasione (si piantano in una piccola galleria) li superiamo e ricominciamo a salire con una marcia adeguata. Andiamo su piano, ma costanti chiacchierando e considerando.

Dopo un tratto sporco (da pietre cadute) e ripido che ci fa ansare un po’, ci volgiamo verso valle e ci rendiamo conto che il nostro sguardo abbraccia un ampio tratto del fronte di guerra dolomitico. Dalla Val Travenazes, appena sotto le Tofane, al Castelletto, Averau , sasso di Stria, Sief Col di Lana, Marmolada….un bel colpo d’occhio, ma penso al Kaiserjager che sale….ma che confusione di fumo e rumore avrà sentito? Colpi di cannone e fucileria continui, ora qui ora la….
Siamo vicini alla fine del sentiero. La pendenza cala e riusciamo a camminare e chiacchierare più agevolmente.

Le postazioni di guerra sono più in basso, quassù non troviamo traccia di guerra.
Bene, per un momento smetto i panni immaginari del Kaiserjager e torno ad essere un normale escursionista che chiacchiera con gli amici di montagna, di mtb…del più e del meno.
Mi sento più leggero senza il fardello dell’immaginario soldato che sale in vetta al Lagazuoi piccolo a portare il suo apporto alla guerra.
Sulla cima del Lagazuoi il solito brulichio di turisti che arrivano dal vicino rifugio raggiunto per l’occasione con la comoda funivia. Questa cagnara rompe parecchio il fascino e il momento magico.

Ci togliamo dalla confusione e dietro un grosso sasso, riparati dal vento ci sediamo a mangiare qualcosa. Poi anche noi ci concediamo un attimo di comode comodità ed entriamo in rifugio per un piacevole momento caffè.
Il nostro amico Marco, con qualche problemino alla schiena deve abbandonare la compagnia e scendere in funivia. Ci dispiace di non averlo con noi per la discesa nelle gallerie e la successiva uscita sulla sottile Cengia Martini.
In compagnia di Silvia iniziamo la discesa verso la cengia Martini.
Per qualche minuto vesto ancora i panni del Kaiserjager mentre ci muoviamo nelle trincee adiacenti all’uscita della galleria di mina dell’anticima.
Da là gli italiani tentavano infatti di venire a conquistare l’importante vetta che sovrasta il passo Falzarego e di Valparola e che avrebbe dato loro accesso alla Val Badia…
Pochi metri dividevano le due postazioni…
Ora devo varcare il confine….
Prima di accendere la pila frontale e infilarmi nelle gallerie, mi cambio divisa e divento un soldato/minatore del regio esercito italiano.
Per qualche minuto rimango al buio, la vista deve adeguarsi alle mutate condizioni di luminosità.

Anche la temperatura cambia parecchio. L’umidità la fa da padrone, e gocce d’acqua cadono incessantemente lungo il percorso. Gli alti scalini che contraddistinguono la discesa sono viscidi e per fortuna un cavo a mo di corrimano ci consente di scendere con discreta sicurezza e agilità.

Il lavoro di soldato/minatore è durissimo. In questo antro piuttosto angusto ed inospitale dobbiamo lavorare di martello pneumatico. Rumore e polvere rendono il lavoro davvero pesante…ma sempre meglio di star fuori a beccar pallottole o cannonate. Ma intanto che noi scaviamo per far saltare l’austriaco…l’austriaco sta scavando per farci saltare in aria. Una durissima gara contro il tempo…
I nostri tecnici ascoltano costantemente il lavoro del nemico cercando di capire cosa sta facendo e dove si dirige il suo scavo, in più deve calcolare esattamente la direzione di scavo che dobbiamo tenere noi. Durante la notte o nei momenti di nebbia e brutto tempo dobbiamo essere svelti ad gettare fuori dalle gallerie i materiali di scavo….
Scendiamo progressivamente di livello ed incontriamo le “sale” dove erano parcheggiati i compressori che rifornivano d’aria i martelli pneumatici, poi andiamo a vedere una galleria di mina “incompiuta” c’è la cisterna di raccolta acqua, e infine il ricovero per operai e soldati. E’ davvero un piccolo tugurio….

Ma ci si sta, la temperatura non è mai troppo fredda, non è come la fuori in inverno che ci sono 40°C sotto zero…qui c’è solo questa costante grande umidità che ti entra nelle ossa e non ne vuol più uscire….ma in compagnia con qualche bicchiere di vino e l’effetto “stalla” della compagnia riunita si riesce a vivere…
E alla fine le gallerie finiscono. Piuttosto emozionati usciamo dal buio e dall’umidità e tiriamo un bel sospiro di sollievo nel sentire il tepore dell’aria pomeridiana che ci riscalda . Ora andremo a “visitare” la Cengia Martini… devo cambiarmi d’abito nuovamente. Il vestito è sempre grigioverde Italiano ma questa volta devo mettere il cappello alpino del Val Chisone. Qui comanda il capitano Ettore Martini…Qui si sono arroccati gli alpini e agli austriaci non riesce di sloggiare questo manipolo di soldati. Gli austriaci li hanno fuori tiro, viceversa, da qui, gli alpini riescono costantemente a pungere il nemico. A nulla valgono i tentativi di far saltare la cengia con le mine, a nulla valgono i barili esplosivi fatti cadere dalla cima…

Come abbiano fatto a vivere li per 2 anni e mezzo quasi 200 uomini, è veramente duro da capire. Spazi strettissimi e angusti, sempre a strapiombo nel vuoto. Pochi ricoveri e pochi rifornimenti.

Comunicazioni con il resto delle truppe avvenivano solo con stratagemmi vari….i cavi telefonici erano costantemente interrotti dal fuoco nemico, o dalle valanghe o cadute di sassi.
Non parliamo del trasporto feriti….a braccia lungo questa esile cengia e poi caricati su una teleferica da brivido…
Riflettendo su questo, camminiamo ripercorrendo i gradini,  visitando baracche, guardando il vuoto sotto di noi.
Alla fine della cengia un cancello sbarra la strada all’escursionista. Probabilmente di la c’è pericolo…una volta di la dallo spigolo del monte, c’era il Kaiserjager che combatteva. Sporgersi al di la dello spigolo voleva dire poter sparare al nemico o…farsi sparare…
Su un lavatoio la scritta ricordo di un battaglione di alpini….

Ora rientriamo verso il passo Falzarego, Marco ci aspetta in parcheggio.
Usciamo dalla cengia Martini e scendiamo verso valle. Ancora per un po’ percorriamo terreni di guerra ricchi di “segni del tempo”. Due casematte diroccate segnano il confine tra il “ricordo” e l’attuale civiltà tecnologica votata al consumo…
D’improvviso tutto cambia, spariscono la divisa grigioverde e il cappello da alpino e mi ritrovo con i consueti abiti da escursionista. Mi sento davvero più leggero, anche se il cappello da alpino, una volta vestito…non lo togli più….



Grande Guerra MTB – Alle postazioni Italiane di Col Gallina

Il buon senso avrebbe voluto che questa mattina si stesse a “polleggiare” in camper. Ma quando mia moglie dice che si va…si va. Poche balle! Al grido di: abbiamo l’attrezzatura….siamo partiti.

Va ben l’attrezzatura da pioggia, ma cognizione vuole che comunque si progetti un giro non eccessivamente lungo che ci permetta, in caso di tempo veramente cattivo, di rientrare con una certa rapidità e sicurezza. Il giro l’abbiamo a portata di mano. E con questo giro prendiamo due piccioni con una fava. Sulla carta dei tour di mtb che abbiamo comprato nei giorni scorsi c’è un bellissimo itinerario che parte da Corvara e arriva fin su al Falzarego e da qui fino agli impianti di Col Gallina.
Beh!!! Noi siamo sulla strada, ne uscirebbe un giro abbastanza breve, ma con il tempo in essere sarebbe già un successo riuscire nell’intento.
A questo si aggiunga che abbiamo imparato che a Col Gallina, durante la Grande Guerra, erano piazzate le artiglierie Italiane che sparavano verso il Col di Lana, Lagazuoi Piccolo e Sasso di Stria.
Oltre a ciò, sappiamo che sull’itinerario di discesa dal passo di Valparola è situato un piccolo cimitero di guerra austriaco. L’occasione è buona per una preghiera.
Transitando poi dal passo di Valparola passeremo anche accanto al forte Intra i Sasc, più in là c’è il trincerone Vonbank e poi si pedalerebbe sotto il Sasso di Stria ecc ecc..
Ce n’è a sufficienza per catalogare questa piccola escursione nella categoria Grande Guerra MTB.
Flora è gasatissima e sotto una pioggerella fastidiosa ma sopportabile iniziamo a pedalare in direzione Malga Valparola.

Le pendenze non sono cattive ma, così a freddo (in tutti i sensi), impegnano immediatamente muscoli e polmoni.
Dicono che la fortuna aiuti gli audaci…evidentemente noi siamo audaci, infatti il cielo comincia a schiarire sulla Val Badia, e dopo poco anche sopra le nostre teste le nuvole cominciano ad aprirsi e la nebbia si dirada.
Dopo Malga Valparola le pendenze aumentano e siamo costretti a smettere il materiale antipioggia.
Anche se cade qualche goccia continuiamo a salire in abbigliamento più leggero.

La salita fino alla soprastante strada statale che porta al Passo Falzarego non ci da problemi particolari e tutto fila terribilmente liscio. Percorriamo qualche centinaio di metri su asfalto e giriamo a sinistra su carrareccia. Questa strada (che poi diventa sentiero) porta direttamente a Forcella Salares sopra il rif Scotoni.
Sulla destra di questa carrareccia si staccano due sentieri che portano fino al Passo di Valparola.
Il primo è piuttosto ripido e lo utilizzeremo come via di discesa.
Proseguiamo ancora in direzione Salares su quella che una volta era la strada statale del passo (ce lo racconterà un ex alpino che incontriamo durante la discesa davanti al cimitero austriaco). Le pendenze sono proprio da strada statale e si pedala bene
. Saliamo bene fino ad un certo punto, poi…poi ci sono le frane. Non so da quando, ma sulla via incontriamo tre grosse colate di ghiaia provenienti  dalla montagna. Bianchissima ghiaia (sarebbe ottima da mettere in un bel giardino) ci sbarra la strada. Sui bordi della colata è stato ricavato un piccolo sentiero che ci consente di passare portando le bici a mano. Dobbiamo passare ben tre colate prima di arrivare ad immetterci di nuovo sulla statale del passo Falzarego (che poi va giù a Cortina) .

Da qui al passo di Valparola sono poche pedalate. Una foto davanti al rif Valparola,
e poi più in là un’altra foto davanti al museo del forte Intra i Sasc.
Il nostro itinerario ora ci porta a scendere proprio sotto le pareti del sasso di Stria. Qui cominciano un po’ di difficoltà…

La via è un bel single track stretto che fa slalom fra i grossi massi che sono direttamente sotto la galleria Goiginger.
Goiginger, chi era costui?
Goiginger era un comandante austriaco (della divisione Val Pusteria) che organizzò le truppe dell’Asse per la difesa del passo di Valparola. Fece sistemare il Trincerone Vonbank e, tra le altre cose fece scavare dentro il Sasso di Stria una lunga galleria (circa 400 mt) che consentiva di osservare anche la Cengia Martini senza essere presi di mira dalle mitraglie là appostate.
Passando sul bel sentiero mi fermo un attimo ad osservare gente che arrampica in falesia…

Beh…allora c’era chi si arrampicava…ma non per divertimento!
Mi torna in mente la triste storia del tenente Fusetti, che con un manipolo di uomini tentò la conquista del Sasso di Stria arrampicandosi fino alla cima. Fusetti riuscì ad arrivare in vetta, ma…non avendo ricevuto necessari rinforzi, fu sopraffatto dal contrattacco nemico. La salma del tenente venne gettata (presumibilmente per motivi igienici) nei canaloni sottostanti e mai più ritrovata. Poveretto…
Ora il sentiero si fa più tecnico e non ho tempo di pensare alla guerra, devo stare attento a non cadere fra i massi in agguato. La mia vecchia Merida non mi tradisce e mi diverto davvero. Avanzo un po’ e aspetto Flora che pian piano scende alle mie spalle.
Arriviamo ad un bivio, o torniamo sulla statale o continuiamo a scendere per prato. Ovviamente scelgo di seguire una traccia sul prato scivoloso. È ripido, ma, inaspettatamente le mie High Roller tengono bene. Solo nel piccolo traverso finale le ruote tendono a scivolare leggermente di lato. Scende bene anche Flora.

Ora la tracciola diventa sterrata e per un po’ riusciamo a scendere bene, poi sassi affioranti e gradini, su e giù ci impegnano davvero. Ad un certo punto il sentiero è talmente stretto e in salita che non è più pedalabile. Spingo avanti la bici e aspetto Flora che non arriva…
Preoccupato abbandono la bici e torno sui miei passi, e mi spunta davanti Flora con la bici in spalla in un elegante portage. Brava…non ci avevo pensato…
Il tratto seguente consente ancora qualche pedalata. Rimonto in bici e faccio per partire….per partire cerco di apporgiarmi su un sasso con un piede….Non so cosa sia successo di preciso, forse mi giro all’improvviso per guardare cosa fa mia moglie, forse prendo male le distanze, boh…fatto è che che quando faccio per appoggiarmi sul sasso…il sasso non c’è!
Cado come un sacco di patate sbattendo le costole su una bella lama di roccia. A nulla vale il protendere la mano. Annaspo inutilmente fra i rami di pino mugo. Sento una gran legnata al fianco e la schiena che si piega quasi a spezzarsi. Temo di essermi rotto la schiena. Flora resta senza fiato nel vedere la mia testa sfiorare un sasso…io sono senza fiato per aver sbattuto le costole. Dopo un attimo di grande dolore mi rialzo, faccio i conti dei rotti e vedo che, inspiegabilmente non ho grossi dolori e posso continuare l’escursione.
Anche questa volta mi è andata bene…spero di non star bruciando troppi bonus col destino….
Alla parola destino penso immediatamente ai poveri soldatini mandati all’attacco di postazioni nemiche inespugnabili…col destino inequivocabilmente segnato…
Mi rincuoro e riparto.
L’ultimo tratto di sentiero è tutto da spinta
E sbuchiamo proprio davanti alla cappellina sul passo Falzarego.

Dopo la foto di rito, facciamo un po’ di slalom fra le auto e le moto parcheggiate di fianco al bar e imbocchiamo il sentiero che mena agli impianti di Col Gallina.
A Col Gallina era situato un osservatorio di artiglieria e poco più sotto c’erano le batterie di cannoni che avevano il compito di martellare le posizioni austriache del Sasso di Stria, del Col di Lana/Sief e del Lagazuoi piccolo.
Non sappiamo bene dove siano situate, ma andremo a cercarle. Il tempo non è pessimo, speriamo che resista. Il colle non è lontano ma la salita è davvero dura.
Cerchiamo inutilmente cartelli segnaletici che ci indichino la posizione delle batterie. Pazienza, vediamo di raggiungere Col Gallina e poi vedremo. Qualche segno della presenza di fortificazioni ci deve essere…
La prima parte di sentiero è più brutta da vedere che da fare. La pendenza sembra terribile, ma è solo un’apparenza. Solo un netto solco da acqua che taglia in due il sentiero riducendo lo spazio a disposizione ci mette in leggera difficoltà. Alcuni escursionisti poi, si spostano sulla parte più ampia lasciandoci proprio una strisciolina di terra per passare. Arriviamo sbuffando al primo troncone degli impianti sciistici. Anche qui non si vede nulla…nessun cartello.
Flora è decisa a trovare queste postazioni che qualcuno mi da davvero ben sistemate.
Davanti a noi una larga via conduce direttamente al colle.
Decidiamo di salire.
Disilludo Flora sulla pedalabilità del tratto mentre provo ad inerpicarmi spingendo al massimo sui pedali. C’è poco da fare, anche sfruttando al massimo l’ampiezza della strada e zigzagando non riesco ad andare molto in la. Scendo e spingo. Dopo una prima balza riprovo in sella, salgo ancora un po’ e poi devo venire a più miti consigli e spingere…A Flora non va molto meglio…
Le mie costole per il momento tacciono….
Arrivati di cresta ancora non vediamo nulla di significativo. Due escursionisti che scendono dall’ultimo tronco degli impianti da sci ci fanno i complimenti per essere arrivati fino a li con le bici. Ne approfittiamo per chiedere notizie delle trincee e delle postazioni.
Finalmente ci danno notizie confortanti, le postazioni sono appena sopra l’arrivo della funivia.
Pedaliamo ancora un po’…superiamo gli impianti e vediamo un tracciolino che va proprio sotto un qualcosa che sembra una postazione in pietra. Il tracciolino in salita è davvero impercorribile, stretto e ripido ci richiede un altro divertente portage.
Nel mettermi la bici in spalla le mie costole protestano energicamente….ma l’operazione, anche se dolorosa riesce. Portiamo le bici per pochissimi minuti, eccoci di cresta ed eccoci davanti alle prime trincee.
 
Non sono tenute molto bene a dire il vero…ma continuiamo a cercare. Più in là un muretto in calcestruzzo, e, al’improvviso spuntano baraccamenti davvero ben tenuti. Danno davvero l’idea dell’osservatorio d’artiglieria e di un comando di “centro tiro”. Si vede che sono stati ricostruiti di recente, ma il lavoro sembra davvero ben fatto. Ci avventuriamo per scale e scalette….ma tutto è chiuso a lucchetto e catenacci. E’ un peccato…
La postazione è sistemata in modo ideale ed è ben protetta dal controtiro dei cannoni austriaci. 
Ciononostante in questa zona il rumore deve essere stato assordante. Le “botte” delle cannonate in partenza, e gli scoppi delle granate in arrivo deve aver minato bene lo spirito degli artiglieri al lavoro. Anche se ben riparate alle postazioni comunque le cannonate arrivavano e la pioggia continua di sassi e schegge doveva essere veramente devastante.
Continuiamo la nostra visita….nei dintorni si notano parecchie tracce delle antiche postazioni ma il tutto è davvero malmesso, ci vorrà molto lavoro per risistemare il tutto.
Saranno le condizioni meteo che rendono scura la zona, ma l’idea è quella di un luogo spettrale che mette i brividi. Mentre sul Col di Lana ora c’è un bel prato fiorito e le mucche che allietano la vista, qui la roccia la fa da padrona, e rende “tagliente” il panorama.
Le nuvole all’orizzonte si vanno incupendo un po’ troppo e il vento si fa teso e tagliente…
E’ ora di rientrare.
Qualche goccia d’acqua ci consiglia di vestire il copri casco e il giubbino impermeabile.
La discesa è davvero divertente, e come tutte le cose divertenti finisce velocemente. In un attimo siamo al passo Falzarego.
I miei muscoli si sono raffreddati e le mie costole mi stanno cantando l’Aida….fortunatamente in discesa, le braccia sono in appoggio e non sento dolore….in salita…cominciano ad essere cose serie.
Flora fa una sosta al Forte Intra i Sasc a cercar cartine, e mentre monto la guardia alle bici ne approfitto per scattare una foto ad un figurante. Tento di intervistarlo ma parla solo tedesco ( in inglese non ci provo), comunque sia riusciamo ad intenderci sulla provenienza della divisa: Alpen Corps tedesco .
Ci avrei giurato!...gli italiani ovviamente li conosco….i Kaiserjager hanno una divisa di un altro colore….non rimanevano che loro…i soldati che sono accorsi in forza alla difesa del passo ai primi di giugno del 15, mentre gli italiani stavano aspettando le artiglierie, stavano aspettando le autorizzazioni del ministero della guerra ecc ecc…
Fa niente…Flora ritorna munita di cartoline e libretto esplicativo…ma non della carta che andava cercando.
Riprendiamo la via di discesa verso la Malga Valparola….
Le mie costole dicono sul serio, ma abbozzo….
Scendiamo veloci lungo il sentiero fino al piccolo cimitero di guerra austriaco. Le croci sono sempre meno e sempre più malridotte. Ne raddrizzo una, mi fa compassione vederla così rotta per terra…poi salgo alla piccola cappella dove Flora è già entrata.
Mi colpisco un paio di scritti….li fotografo per serbarli nella memoria…e leggerli ogni tanto quando mi viene voglia di arrabbiarmi.
Prima di andare Flora intona un commovente “Signore delle Cime”…
Un bel “magone” non me lo toglie nessuno….e fa sparire anche il male alle costole.
Nell’uscire incontriamo un anziano signore con la moglie….Ci racconta che ha fatto il m ilitare da queste parti…dove era la strada…come la liberavano dalla ghiaia…allora passava pochissima gente…Poi cita gli anni in cui era qui come militare….pochi anni prima che lo facessi io…ma sembrano passati secoli….ora la storia è ben diversa…già…molto diversa…
Restano pochi chilometri alla fine della escursione…
Scendiamo di volata alla Malga Valparola lungo il Tru d’le fer…
Lascio la via principale per fare un paio di tagli in single track….poca roba…ma divertente. Alla malga Flora va a veder se fanno il kaisersmarren….nel menù non c’è…prendiamo su le nostre canne e decidiamo di andare da Antonio al centro fondo a mangiare una “mela”.
Nella piccola risalita lo spingere sui pedali mi fa veramente male alle costolette ferite. Devo scendere e spingere…Dolores….
Fortunatamente il centro fondo è vicinissimo. Ci fermiamo e mangiamo….Pare che la “mela” sia taumaturgica e curativa. Dopo la sosta soffro un po’ meno…
Il campeggio è a pochi passi, e mentre sistemo le bici…il cielo si apre in una pioggia davvero poco simpatica….appena in tempo..